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Frasi BellePoesie

Le più belle poesie di Saffo

Saffo - Aforisticamente

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Nata a Mitilene (secondo altri, più probabilmente, ad Ereso), nell’isola di Lesbo, Saffo è una poetessa greca vissuta tra il 630 e il 570 avanti Cristo, tanto famosa già ai suoi tempi da essere definita la “Decima Musa”.

Solone, suo contemporaneo, dopo aver ascoltato in vecchiaia una lirica della poetessa, disse che a quel punto desiderava due sole cose, ossia impararlo a memoria e morire. Mentre Platone in un suo epigramma scrive: “Alcuni dicono che le Muse siano nove; che distratti! / Guarda qua: c’è anche Saffo di Lesbo, la decima”.

Di Saffo ci restano parecchi frammenti recuperati dai papiri. Le poesie di Saffo hanno alimentato numerose leggende che la vogliono perennemente innamorata di giovani donne e dedita ad amori che sono definiti “saffici”.

Alcune delle poesie più belle di Saffo sono state tradotte da Salvatore Quasimodo nel suo libro intitolato I lirici greci.

Presento una raccolta delle più belle poesie di Saffo. Tra i temi correlati Le frasi e poesie più belle di Gaio Valerio Catullo, Le più belle poesie d’amore e Le poesie più belle e celebri di Salvatore Quasimodo.

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Le più belle poesie di Saffo

Ode della gelosia

A me pare uguale agli dèi
chi a te vicino così dolce
suono ascolta mentre tu parli
e ridi amorosamente. Subito a me
il cuore si agita nel petto
solo che appena ti veda, e la voce
si perde nella lingua inerte.

Un fuoco sottile affiora rapido alla pelle,
e ho buio negli occhi e il rombo
del sangue nelle orecchie.
E tutta in sudore e tremante
come erba patita scoloro:
e morte non pare lontana
a me rapita di mente.

(Saffo, traduzione di Salvatore Quasimodo)

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La cosa più bella

Dicono alcuni sulla nera terra
esser la cosa più bella uno stuolo
di navi, altri di fanti o cavalieri.
Io, ciò che ami.

È nota a tutti questa verità:
Elena, la più splendida creatura,
lasciò il marito, ottimo fra gli uomini,
senza pensiero

per la figlia né per i genitori
e alla città di Troia andò per mare
tanto l’aveva Cipride sconvolta
di folle amore.

Ed anche a me fa ora ricordare
Anattoria lontana, non più qui:
di lei vorrei dinanzi agli occhi avere
l’amabile figura

e ammirare i bagliori luminosi
del suo volto, piuttosto che dei Lidi
i carri e di soldati tumultuosi
armate schiere.

(Saffo, Traduzione di Silvio Raffo)

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Quale dolce mela che su alto
ramo rosseggia, alta sul più
alto; la dimenticarono i coglitori;
no, non fu dimenticata: invano
tentarono raggiungerla.

(Saffo, traduzione di Salvatore Quasimodo)

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Tramontata è la luna

Tramontata è la luna
e le Pleiadi a mezzo della notte
anche giovinezza già dilegua,
e ora nel mio letto resto sola.

Scuote l’anima mia Eros,
come vento sul monte
che irrompe entro le querce;
e scioglie le membra e le agita,
dolce amara indomabile belva.

Ma a me non ape, non miele;
e soffro e desidero.

(Saffo, traduzione di Salvatore Quasimodo)

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Corteggiano le stelle
la graziosa luna;
E il volto splendïente
novellamente – celano, quand’ella
la terra tutta quanta
dal pieno disco di candore ammanta.

(Saffo, traduzione di Giuseppe Bustelli)

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Ma tu morta giacerai, e nessun ricordo di te
ci sarà, neppure in futuro: tu non partecipi delle rose
della Pieria. E di qui volata via, anche nella casa
di Ade, invisibile ti aggirerai con i morti oscuri.

(Saffo, traduzione di Salvatore Quasimodo)

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Esser morta vorrei veramente.
Mi lasciava piangendo,
e tra molte cose mi disse:
“Ahimè, è terribile ciò che proviamo,
o Saffo: ti lascio, non per mio volere”.
E a lei io rispondevo:
“Va’ pure contenta, e di me
serba il ricordo: tu sai quanto t’amavo.
Se non lo sai, ti voglio
ricordare…
cose belle noi godevamo.
Molte corone di viole,
di rose e di crochi insieme
cingevi al capo, accanto a me,
e intorno al collo morbido

(Saffo, traduzione di Salvatore Quasimodo)

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E non vi era danza
né sacra festa…
da cui noi fossimo assenti
né bosco sacro…

(Saffo, traduzione di Salvatore Quasimodo)

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Il giardino di Afrodite

Venite al tempio sacro delle vergini
dove più grato è il bosco e sulle are
fuma l’incenso.
Qui fresca l’acqua mormora tra i rami
dei meli: il luogo è all’ombra di roseti,
dallo stormire delle foglie nasce
profonda quiete.
Qui il prato ove meriggiano i cavalli
è tutto fiori della primavera
e gli aneti vi odorano soavi.
E qui con impeto, dominatrice,
versa Afrodite nelle tazze d’oro
chiaro vino celeste con la gioia.

(Saffo, Traduzione di Salvatore Quasimodo)

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Stella della sera, riporti
quanto disperse l’alba lucente:
porti la pecora, la capra.
Alla madre riporti la figlia

(Saffo, traduzione di Salvatore Quasimodo)

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Ho una bella fanciulla
simile nell’aspetto ai fiori d’oro,
la mia Cleide diletta.
Io non la darei né per tutta la Lidia
né per l’amata…

(Saffo, traduzione di Salvatore Quasimodo)

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Sposo beato,
le nozze dei tuoi sogni sono compiute.
È tua la fanciulla che ami.
O sposa,
tu sei tutta grazia:
i tuoi occhi son dolci,
il bel viso è tutto amore…
O sposo,
felice sposo,
noi fanciulle canteremo
questa notte,
il tuo amore e la tua sposa
profumata di viola,
canteremo questa notte…

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Inno ad Afrodite (questa lirica apriva i libri delle poesie di Saffo. Essa ci è pervenuta intera grazie alla citazione di Dionigi di Alicarnasso)

O mia Afrodite dal simulacro
colmo di fiori, tu che non hai morte,
figlia di Zeus, tu che intrecci inganni,
o dominatrice, ti supplico,
non forzare l’ anima mia
con affanni né con dolore;

ma qui vieni. Altra volta la mia voce
udendo di lontano la preghiera
ascoltasti, e lasciata la casa del padre
sul carro d’oro venisti.

Leggiadri veloci uccelli
sulla nera terra ti portarono,
dense agitando le ali per l’aria celeste.

E subito giunsero. E tu, o beata,
sorridendo nell’immortale volto
chiedesti del mio nuovo patire,
e che cosa un’altra volta invocavo,

e che più desideravo
nell’inquieta anima mia.
« Chi vuoi che Péito spinga al tuo amore,
o Saffo? Chi ti offende?

Chi ora ti fugge, presto t’inseguirà,
chi non accetta doni, ne offrirà,
chi non ti ama, pure contro voglia,
presto ti amerà. »

Vieni a me anche ora;
liberami dai tormenti,
avvenga ciò che l’anima mia vuole:
aiutami, Afrodite

(Saffo, Traduzione di Salvatore Quasimodo)

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Ermes, io lungamente ti ho invocato.
In me è solitudine: tu aiutami,
despota, ché morte da sé non viene;
nulla m’alletta tanto che consoli.
Io voglio morire:
voglio vedere la riva d’Acheronte
fiorita di loto fresca di rugiada.

(Saffo, Traduzione di Salvatore Quasimodo)